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DAL 2022 AL 2023: UNA FATICOSA RIPARTENZA

23 Dicembre 2022

Quello che sta finendo è stato una anno che molti osservatori hanno definito annus horribilis. Una serie di eventi drammatici ed altri anche tragici hanno segnato il 2022 e, almeno per noi europei, lo scoppio della guerra russo-ucraina ha segnato il culmine della tensione. Le conseguenze del conflitto sono diverse ma sottolineiamo che il riposizionamento geopolitico derivante dall’invasione russa ha sconvolto gli equilibri sui quali poggiavano alcuni pilastri fondamentali di politica, economia e finanza.

Eravamo abituati a quello che si definisce “dividendo della Pace”, davamo per scontata la globalizzazione e la scomparsa dei blocchi di influenza, ma dopo il 24 febbraio tutto è mutato.

La guerra, soprattutto per la sua inumana crudeltà, è stato senza dubbio l’evento che ha caratterizzato il 2022 ma, entrando nel merito del percorso fatto dai mercati finanziari, vi sono stati altri fattori che hanno indirizzato gli investimenti.

TASSI IN RIALZO: FINE DI UN’ERA

Il 2022 sarà anche ricordato per il cambio di paradigma delle Banche Centrali: dopo quasi un decennio di politiche monetarie espansive con tassi di interessi negativi e bilanci delle stesse banche in abnorme crescita grazie al QE, l’esplosione dell’inflazione ha costretto le economie sviluppate a fare i conti con un nuovo schema che ha destabilizzato i mercati.

Prezzi in aumento, crisi energetica derivante dalla scomparsa del principale fornitore di gas per l’Europa, reazione clamorosa delle Banche centrali sono stati i principali propellenti della crisi, un combinato disposto micidiale che ha portato a un riposizionamento stupefacente dei portafogli.

Le perdite che le asset class principali hanno registrato sono impressionanti e in particolare la parte considerata a rischio minore, i Bond, ha segnato una contrazione di rendimento che non si registrava da più di 150 anni. Il repricing di questa parte di investimenti ha comportato perdite nei portafogli degli investitori conservativi/bilanciati tipiche di allocazioni rischiose e, per esempio, il rendimento storico di un portafoglio 60/40 è arrivato a segnare -20%, numero che probabilmente nessuna generazione vivente aveva mai riscontrato in investimenti del genere.

Sui mercati azionari le correzioni sono state consistenti con alcuni (pochi a dire il vero)  settori che hanno mostrato una certa resistenza. I valori legati a quella che qualche anno fa definivamo New Economy hanno dovuto far fronte a vendite massicce e costanti. Spinti a ribasso dall’aumento dei tassi di interesse, i settori legati alla tecnologia e a tutti quei comparti dove il ricorso alla leva finanziaria è normale, hanno perso, mediamente, tra il 50 e il 60% delle loro capitalizzazioni. Queste perdite, che in alcuni casi hanno raggiunto valori ancor più negativi (e anche riguardanti società a grandissima capitalizzazione come per esempio Meta, l’ex Facebook) hanno pesato notevolmente nei portafogli degli investitori in quanto, negli ultimi anni, la stragrande maggioranza dei gestori e degli operatori non professionali aveva puntato su questi titoli, campioni indiscussi di performance durante la fase di espansione.

Positivi, o meno negativi, i settori difensivi e in particolare quelli energetici (ma non rinnovabili), i finanziari (aiutati dal rialzo dei tassi), alcuni farmaceutici e i settori legati ai consumi di lusso.

 

A CHE PUNTO SIAMO

Ora, dato questo contesto, dobbiamo provare a chiederci a che punto ci troviamo e se, ovviamente in un esercizio puramente teorico, vi siano all’orizzonte dei mutamenti di scenario.

Come abbiamo detto è l’azione delle banche centrali che determina le condizioni di mercato. La guerra in Ucraina ha conseguenze gravissime, lo abbiamo visto, ma paradossalmente è ad oggi un evento controllato. Solo una escalation nucleare (e speriamo non si debba mai assistere a nulla del genere) potrebbe mutare lo scenario e, almeno per ora, sembra anche che la crisi energetica derivante dallo stop delle forniture russe possa essere gestita dai Paesi del Vecchio Continente.

Sono quindi i tassi di interesse che bisogna osservare e, prima ancora, il livello dell’inflazione. La FED ha percorso un tratto di strada piuttosto importante nel suo viaggio verso livelli di tassi di interesse ritenuti adeguati per contrastare l’inflazione, ma la partenza ritardata (ricordiamoci di quando la FED parlava di “inflazione transitoria”) costringe Powell a rincorrere i prezzi ed il traguardo è ancora relativamente lontano nonostante gli ultimi dati abbiano mostrato i primi segnali di rallentamento della dinamica inflattiva. La BCE, ancora più lenta e in ritardo rispetto alla FED, sta agendo nello stesso solco tracciato dalla banca centrale statunitense e ha alzato i tassi dichiarando, nell’ultima riunione, che le stime di inflazione devono essere riviste a rialzo consegnando ai mercati un messaggio da veri falchi. Se aggiungiamo cha a marzo 2023 la Banca con sede a Francoforte inizierà anche a ridurre il suo bilancio, ecco che la sensazione che ci voglia ancora tempo prima di rivedere politiche monetarie più accomodanti diventa sempre più forte. Che la dinamica restrittiva sia ormai generalizzata è anche dimostrato dallo storico rialzo di 50bp effettuato dalla Bank of Japan questa settimana: l’abbandono di una politica espansiva decennale che si pensava immutabile.

 

UN 2023 VOLATILE PER LE AZIONI..

Cosa dobbiamo quindi attenderci nel 2023 sui mercati? Se, come abbiamo detto, saranno le manovre dei banchieri centrali a dettare il ritmo, dobbiamo pensare che per le azioni ci saranno ancora periodi di apprezzabile volatilità. Come è stato nel 2022 sarà difficile essere costruttivi in assenza di chiarezza sull’inflazione e sulla dinamica dei tassi. E’ possibile che per tutta la prima parte del 2023 non vi saranno particolari elementi nuovi (la BCE per esempio non si riunisce prima di febbraio) e che fino a quando non si vedranno significativi segni di inversione dei prezzi, le borse continuino a faticare. A livello geografico sembra da preferire l’Asia che beneficia di crescita strutturale discreta mentre per i Paesi Emergenti vi sono lievi segnali di ripresa ma sono da considerare, almeno per la prima fase dell’anno, ancora in hard currency. In USA e Europa sono i settori che devono essere selezionati. In caso di chiaro segnale di allentamento della politica monetaria restrittiva potremo vedere il recupero di mercati come il Nasdaq, ma nel contesto attuale sembrano ancora certi difensivi a prevalere. Nel settore del lusso le quotazioni potrebbero rimanere sostenute grazie alla forte domanda dall’Asia.

In definitiva l’approccio dall’azionario dovrebbe essere prudente in attesa di segnali di normalizzazione del processo di rialzi dei tassi.

 

..PIU’ INTERESSANTE PER I BOND

Per ciò che riguarda le obbligazioni partiamo da un dato: ad oggi il 90% del mondo bond offre un rendimento positivo. Dicevamo del rialzo storico in Giappone e proprio grazie a questa “novità” abbiamo raggiunto la quasi totalità di Paesi ai quali prestare denaro è conveniente (almeno in termini nominali). Ciò significa che l’interesse verso il mondo del reddito fisso può incrementarsi. E questo vuol dire che se, come dicevamo, le azioni sono ancora in una fase di attesa, i portafogli obbligazionari possono presentare, già da ora, una opportunità di investimento da non sottovalutare. I tassi saliranno ancora, ma nel corso del 2023 dovrebbero intercettare la curva in discesa dell’inflazione e giungere quindi al loro culmine.

Nel 2023 presumiamo che gli acquisti di titoli ad alto rating possano essere interessanti e che, anche in presenza di ulteriori rialzi dei tassi, posizionarsi fin da ora su questi bond permetterà di beneficiare, probabilmente nella seconda parte dell’anno, dei probabili ribassi dei tassi.

Gli investitori più aggressivi potrebbero cominciare a selezionare anche High Yield di qualità (sempre in hard currency) con l’avvertenza di non avere un orizzonte di investimento troppo breve.

 

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